23/07/08

Pensieri tra i monti...

Questa è veramente una perla del buon Seneca, anche se il post è stato creato a settembre, ho voluto inserirlo quando effettivamente ho letto questo breve passo.

Tratto da Seneca: Lettere morali a Lucilio, Libro I, 9

"1 Tu vuoi sapere se Epicuro ha ragione a criticare in una sua lettera quanti dicono che il saggio basta a se stesso e che perciò non ha bisogno di amici. È un rimprovero che Epicuro rivolge a Stilbone e a chi è convinto che il sommo bene sia un animo che non patisce. 2 È inevitabile cadere nell'equivoco se si vuole sbrigativamente tradurre $PðÜèåéá$ con una sola parola e precisamente: impatientia. Può infatti, intendersi il contrario di quello che vogliamo sottolineare. Per noi si tratta dell'uomo che rifiuta la sensazione di qualsiasi male: c'è il rischio di interpretarlo, invece, come uno che non può sopportare nessun male. Vedi, dunque, se non è preferibile parlare o di un animo invulnerabile o di un animo al di là di ogni sofferenza. 3 Questa è la differenza tra noi e loro: il nostro saggio vince ogni avversità, ma l'avverte; il loro neppure l'avverte. In comune abbiamo l'opinione che il saggio è autosufficiente; e tuttavia, egli vuole avere un amico, un vicino di casa, un compagno di vita. 4 E guarda quanto è autosufficiente: certe volte di sé gli basta una sola parte. Se una malattia o un nemico lo hanno privato di una mano, se per sventura ha perso uno o tutt'e due gli occhi, anche così ridotto, sarà soddisfatto, e il corpo sconciato e mutilato gli andrà bene non meno di quando era integro. Ma se non rimpiange ciò che gli è venuto a mancare, questo non significa che preferisce la menomazione. 5 Il saggio è autosufficiente non nel senso che vuole essere senza amici, ma che può stare senza amici; e questo "può" significa che, se perde un amico, sopporta con animo sereno. Ma non sarà mai senza amici: può crearsene altri in breve tempo. Come Fidia, persa una statua, ne avrebbe fatta subito un'altra, così questo artefice di amicizie, perduto un amico, lo sostituirà con un altro. 6 Mi chiedi come si possa stringere presto un'amicizia? Te lo dirò se stabiliamo che io ti paghi subito il mio debito e per questa lettera facciamo pari. Dice Ecatone: "Ti indicherò un filtro amoroso, senza pozioni, senza erbe, senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama." Non solo dalle amicizie sicure e di vecchia data si ricava grande piacere, ma anche dal cominciarne e dal procurarsene di nuove. 7 Tra chi ha un amico e chi lo cerca c'è differenza, come tra il contadino che miete e quello che semina. Il filosofo Attalo era solito dire che farsi un amico dà più gioia che averlo, "come al pittore procura più gioia l'atto di dipingere che l'opera finita." L'attendere con zelo a un lavoro dà di per sé un grande piacere: non ne prova, invece, uno uguale chi, finita un'opera, toglie mano. Gode ormai del frutto della sua arte: dipingendo, invece, godeva dell'arte stessa. I figli adolescenti dànno più frutti, ma da piccoli ci dànno una felicità più dolce.8 Ritorniamo ora al nostro tema. Il saggio, anche se è autosufficiente, vuole, però avere un amico, se non altro per esercitare l'amicizia, e perché una virtù così nobile non languisca; non lo fa per il motivo dichiarato da Epicuro nella medesima lettera, e cioè "per avere chi lo assista se ammalato, chi lo soccorra in carcere o in miseria", ma per avere qualcuno da assistere lui stesso, nelle malattie, o da liberare se prigioniero dei nemici. Se uno si preoccupa solo di sé e perciò fa amicizia, sbaglia. L'amicizia finirà, come è cominciata: si è procurato un amico perché lo aiutasse nella prigionia: non appena ci sarà rumore di catene, costui sparirà. 9 Sono le amicizie cosiddette opportunistiche: un'amicizia fatta per interesse sarà gradita finché sarà utile. Così se uno ha successo, lo circonda una folla di amici, mentre rimane solo se cade in disgrazia: gli amici fuggono al momento della prova; per questo ci sono tanti esempi infami di persone che abbandonano l'amico per paura, e di altre che per paura lo tradiscono. L'inizio e la fine fatalmente concordano. Chi è diventato amico per convenienza, per convenienza finirà di esserlo. Se nell'amicizia si ricerca un utile, per ottenerlo si andrà contro l'amicizia stessa. 10 "Perché, dunque, ti fai un amico?" Per avere qualcuno per cui morire, qualcuno da seguire in esilio, da strappare alla morte anche a prezzo della mia vita: quella che tu descrivi non è amicizia, ma traffico, che mira a un profitto e guarda ai possibili vantaggi. 11 L'amore senza dubbio somiglia un po' all'amicizia; lo si potrebbe definire un'amicizia dissennata. Si ama forse per denaro? Per ambizione o per desiderio di gloria? L'amore di per sé trascura tutto il resto e accende negli animi un desiderio di bellezza e la speranza di un mutuo affetto. Ma come? Da una più onesta causa può nascere un sentimento ignobile? 12 "Ma ora non stiamo discutendo," potresti ribattere, "se l'amicizia si debba ricercare per se stessa." E, invece, è questa la prima cosa da dimostrare, poiché, in tal caso, vi si può accostare chi è autosufficiente. "E come, dunque, ci si accosta ad essa?" Come a un sentimento bellissimo, non per lucro, né per timore dell'instabilità della sorte; se uno stringe amicizia per opportunismo le toglie la sua grandezza.

13 "Il saggio è autosufficiente". I più, caro Lucilio, interpretano male questa espressione: allontanano il saggio da tutto e lo costringono dentro il suo guscio. Bisogna allora chiarire il significato e i limiti di questa frase: il saggio è autosufficiente per vivere felice, non per vivere; a questo scopo gli occorrono, infatti, molti elementi, per vivere felice solo un animo onesto, fiero e noncurante della sorte. 14 Voglio ora indicarti anche la distinzione fatta da Crisippo. Egli dice che il saggio non sente la mancanza di niente e, tuttavia, ha bisogno di molte cose: "Lo sciocco, invece, non ha bisogno di niente, perché non sa servirsi di niente, ma sente la mancanza di tutto." Il saggio ha bisogno delle mani, degli occhi e di molte altre cose indispensabili alle attività di ogni giorno, ma di nessuna sente la mancanza; sentire la mancanza di qualcosa deriva dalla necessità, mentre al saggio niente è necessario. 15 Quindi, per quanto sia autosufficiente, ha bisogno di amici e desidera averne il più possibile, ma non per vivere felice: è felice anche senza amici. Il sommo bene, cioè la felicità, non cerca al di fuori mezzi per realizzarsi; è un bene interiore e nasce tutto da se stesso; diventa schiavo della sorte se ricerca una parte di sé all'esterno. 16 "Quale sarà la vita del saggio se, gettato in carcere o relegato in terra straniera o costretto a una lunga navigazione o sbattuto su una spiaggia deserta, rimane senza amici?" Sarà simile a quella di Giove, quando alla fine del mondo, scomparsi gli dèi in un tutt'uno e cessando per qualche tempo l'ordine naturale delle cose, si riposerà chiuso in sé abbandonandosi ai suoi pensieri. Il saggio fa qualcosa di simile: si ritira in sé, sta solo con se stesso. 17 Finché gli è possibile ordinare le sue faccende a suo piacere, è autosufficiente e prende moglie; è autosufficiente e genera figli; è autosufficiente e tuttavia non potrebbe vivere se dovesse vivere senza nessuno. All'amicizia non lo porta nessun interesse personale, ma una naturale inclinazione; come in altri sentimenti, anche nell'amicizia c'è un'innata attrattiva. Come esiste l'odio per la solitudine e la ricerca di associazione, come la natura lega uomo a uomo, così anche in questo sentimento c'è uno stimolo che ci spinge a ricercare le amicizie. 18 E tuttavia, pur amando molto gli amici, che mette sul suo stesso piano, o che spesso addirittura antepone, il saggio delimiterà in sé ogni bene e ripeterà le parole di quel famoso Stilbone, lo stesso che Epicuro critica nella sua lettera. Costui, dopo la caduta della sua città, in cui aveva perso moglie e figli, uscì da solo, e tuttavia sereno, dall'incendio generale; gli fu chiesto da Demetrio, che ebbe poi il soprannome di Poliorcete per le città da lui distrutte, se avesse perso qualcosa. "Tutti i miei beni," rispose, "li ho con me." Ecco un uomo forte e valoroso! Egli vinse il nemico vincitore. 19 "Non ho perso nulla," disse: e costrinse il nemico a dubitare della propria vittoria. "Tutti i miei beni li ho con me": senso di giustizia, virtù, saggezza e soprattutto l'intelligenza di non ritenere un bene ciò che può essere tolto. Ci meravigliamo vedendo certi animali che attraversano indenni il fuoco; quanto è più ammirevole quest'uomo che uscì illeso e indenne dalle armi, le rovine, le fiamme! Vedi quanto è più facile vincere tutto un popolo che un solo uomo? Sono parole uguali a quelle del filosofo stoico: anch'egli porta i suoi beni intatti attraverso la città in fiamme: è autosufficiente e in questi confini delimita la sua felicità. 20 Non pensare che solo noi pronunciamo nobili parole; lo stesso Epicuro, censore di Stilbone, proferì una frase simile, e tu prendila per buona, anche se per oggi ho già pagato il mio debito: "Se pure è padrone del mondo intero, è un infelice l'uomo che non giudica ingentissimi i propri beni." Oppure, se in questo modo ti sembra espresso meglio (bisogna badare più al significato che alle parole): "Chi non si ritiene molto felice, anche se è padrone del mondo, è un poveretto." 21 Perché tu sappia poi che questo è un concetto comune, appunto perché dettato dalla natura, leggerai nei versi di un poeta comico:

Non è felice chi non pensa di esserlo.

Che importa qual è il tuo stato, se a te non sembra buono? 22 "E come?" ribatti "se si definirà felice uno vergognosamente ricco e quell'altro, padrone di molti schiavi, ma schiavo di più persone ancora, diventeranno felici per la loro frase?" Non importa quello che dicono, ma quel che pensano, e non quello che pensano un giorno solo, ma quello che pensano sempre. Non temere, poi, che un bene tanto grande tocchi ad un uomo indegno: solo il saggio è contento delle cose sue; gli sciocchi, invece, sono tormentati dal disgusto di se stessi. Stammi bene."